mercoledì 23 ottobre 2013
09:17 | Pubblicato da
Alex Focus |
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Napoli,
24/10/2013
Alcun
tempo fa ho ricevuto il seguente documento che inquadra in modo non
convenzionale la figura quasi mitologica del “Che” e ne fa un ardito parallelo
con Mussolini, infatti al termine si trovano due immagini che sembrano quasi
specchiarsi, nella loro epica, attuale, rivoluzionaria, universale ed atemporale
validità.
AlexFocus
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CON IL
“CHE”: SEMPRE E COMUNQUE
di
Maurizio Barozzi
In questo articolo parliamo di Ernesto “Che” Guevara, esprimendo
non solo ammirazione e onore per il combattente e il rivoluzionario, ma anche
una solidarietà ideale e politica.
Come il socialista rivoluzionario Nicola Bombacci si ritrovò sul
piano della rivoluzione socialista nazionale di Benito Mussolini e per la
lotta del sangue contro l’oro, contribuendo alla edificazione della RSI,
così ci ritroviamo noi sulla stessa barricata della rivoluzione socialista di Guevara
e contro l’imperialismo americano. Questo ci spinge a dire che la rivoluzione
fascista, approdata alla RSI e la rivoluzione di Guevara, pur partendo da
presupposti ideologici diversi, possono, anzi devono, incontrarsi e non essere
antitetiche.
“Ogni vero uomo deve sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato a
qualunque altro uomo”. E. Guevara
“La nostra azione è tutta un grido di guerra contro l'imperialismo e un
appello all'unità dei popoli contro il grande nemico del genere umano: gli
Stati Uniti d'America”. E. Guevara
Di
fronte alla figura e persino alla effige del “Che”, divenuta leggenda e mito,
non sono pochi i singoli o i gruppi politici che lo prendono a riferimento
ideale o politico, ma tutta questa ostentazione risente di molta superficialità
e strumentalizzazione e comunque sia è bene precisare che se non è molto
appropriato stirare” Ernesto “Che” Guevara della Serna, medico, scrittore,
idealista, ma anche organizzatore e soprattutto rivoluzionario, come comunista,
in virtù dei suoi scritti e del suo operato rivoluzionario che si richiama al
comunismo, perché rispetto alla visione classica, anche se eterogena, del
comunismo storico e del bolscevismo, le differenze sono notevoli, ancor meno
appropriato e corretto è tirarlo verso “destra” (valorizzandone l’idealismo
delle sue eroiche attitudini di combattente e ignorando il suo solidarismo
umano e socialista).
Come
vedremo è invece possibile, non una identificazione ideologica totale, ma una
assimilazione
ideale e politica con il fascismo repubblicano, realizzatore della Repubblica
Sociale Italiana e una comunanza di lotta contro l’imperialismo americano e le
plutocrazie internazionali. Non a caso, infatti, in apertura, abbiamo citato
Nicola Bombacci. Ma ne riparleremo più avanti.
Cominciamo
con il dire che Guevara resta un grande rivoluzionario, con peculiarità e
ideali
propri che si sostanziano anche nel marxismo leninismo, ma non solo.
E
questo, in un certo senso, vale anche per Fidel
Castro, nonostante che Castro, per il
suo
ruolo di capo di Stato di una piccola nazione esposta alle mire statunitensi,
dovette appoggiarsi ai sovietici, recitando un certo ruolo e mitigando le
posizioni rivoluzionarie più estreme. Non a caso molti scritti di Guevara
fortemente avversi all’Urss e al cosiddetto “socialismo reale” rimasero a Cuba
inediti se non occultati, fino agli anni ’90.
Oltretutto,
nel suo lungo iter di capo di Stato, Castro ha dovuto rinunciare, trasformare o
adattare molti originari progetti determinando anche alcuni dissidi con il
“Che”, che seppur non indifferenti, non trascesero mai oltre un certo limite.
Guevara
aveva una concezione della “verità”, per la quale essa è sempre rivoluzionaria,
mentre per Castro è subordinata alla politica e alla possibilità o meno di
dirla. Egli inoltre aveva ben percepito le contraddizioni e i limiti dei “paesi
socialisti” e vari suoi scritti critici sull’URSS, che potevano pregiudicare i
rapporti di Cuba con quella nazione, restarono per molto tempo inediti.
Il
“comunista” Guevara
Che
Ernesto Guevara avesse una visione socialista della società è indubbio (in particolare
il voler togliere potere al privato e passarlo al pubblico,
assicurando così il bene di tutti, proprio come l’aveva sempre avuta
Mussolini) e inoltre egli concepiva la realizzazione del socialismo attraverso
la prassi rivoluzionaria del marxismo leninismo, al quale però dava una
valutazione tutta sua.
Resta
comunque difficile inquadrare il pensiero e la prassi rivoluzionaria di Guevara
rispetto alla ideologia del comunismo e alla sua storia, anche a causa delle
profonde differenze che si riscontrano nelle varie interpretazioni del marxismo
leninismo e nelle stesse realizzazioni pratiche che si sono avute nei paesi
dove il comunismo è stato imposto dall’esterno o si è affermato con la
rivoluzione e poi magari si è evoluto e trasformato in qualche cosa di diverso
(per esempio dal bolscevismo di Lenin allo stalinismo, per non parlare della
Cina di Mao o delle tante involuzioni nel riformismo).
Alquanto
sostenute, all’interno dell’area comunista o comunque di sinistra, le polemiche
sul considerare Guevara un comunista o meno.
Tra
queste restano significative le osservazioni e le valutazioni di Antonio Moscato
insegnante
di Storia del Movimento operaio, Storia contemporanea e Storia
dei
paesi
afroasiatici presso l’Università di Lecce, decisamente propenso a
considerare
Guevara
un comunista, e all’opposto, invece, quelle di Giovanni Scuderi, segretario
generale
del Partito comunista marxista leninista italiano da lui fondato, che distrugge
spietatamente la tesi di un Guevara comunista. Ne citeremo appresso alcuni stralci
delle loro tesi, ma rimandiamo alla loro lettura, reperibile on line, del testo
integrale.
Noi
da spettatori esterni a queste polemiche, non possiamo che rilevare, intanto,
la
solita
interminabile diatriba sulla vera interpretazione del comunismo, un bizantinismo
che spesso raggiunge il livello di una discussione sul sesso degli angeli, e poi
il fatto che Guevara, a prescindere da come lo si voglia interpretare, mostra
nel corso della sua vita, attraverso la propria esperienza, un continuo
adattamento pratico e intellettuale delle sue idee, un percorso questo comune
ad altri rivoluzionari marxisti, compreso il Mussolini del 1914.
Comunque
sia Guevara non è un Lev Trotski,
una Rosa Luxemburg e neppure un
Bèla Kuhn,
ma forse possiamo definirlo un compendio del tutto particolare e in
continua
evoluzione di Carl Marx, Lenin, Mao Tse-Dong , Juan Peron,
José Martì, Castro, e dei vari fermenti politici, sindacali e
rivoluzionari, con tutte le loro contraddizioni tipiche di quel magma agitatorio
dell’America latina. Forse anche una certa influenza da
Trotsky, è possibile in un rivoluzionario a tutto campo come Guevara.
Il
comunismo a Cuba, come partito, grosso modo affondava le sue radici nel Partito
Rivoluzionario
Cubano, di José Martí (L'Avana, 1853 – Rio Cauto, 1895) e in un piccolo partito
d'ispirazione marxista-leninista (riformista),
creato nel 1925.
Ad
aprile del 1961 Fidel Castro proclamò la Rivoluzione cubana di carattere
socialista
e
quindi, dall'unione delle forze rivoluzionarie che avevano combattuto contro Batista,
vale a dire: il Movimento del 26 luglio, il Partito Socialista
Popolare e il Direttorio Rivoluzionario 13 marzo, nascerà il Partito
Unitario della Rivoluzione Socialista di Cuba.
Successivamente,
almeno formalmente, il nome di questo partito venne cambiato dal Comitato
Centrale in Partito Comunista di Cuba (che presentava riferimenti martiani e
marxisti leninisti, ma non trozkisti), nell’ottobre del 1965.
A
nostro avviso non è esagerato dire che Castro e soprattutto Guevara non sono pienamente
assimilabili all’ideologia del comunismo e in questo ha ragione Scuderi, basta
leggere tutto quello che costoro ci hanno lasciato e gli atti da essi compiuti,
anche se spesso, per necessità geopolitiche e tattiche, hanno usato un certo linguaggio,
per rendersene conto e non è un caso che scrittori marxisti, ogni volta che hanno
sostenuto il contrario, hanno dovuto fare i salti mortali, ma senza riuscire a documentare
adeguatamente, a di là di dettagli e di una certa fraseologia, questo comunismo
di Guevara.
Non
basta, per esempio, per definirlo un “comunista”, ricordare, anche se qui giustamente,
che Guevara non è stato solo un “idealista”, ma anche un politico e un organizzatore
(prassi leninista) come si evince da un suo noto discorso ai
giovani: «Molte grandi iniziative sono fallite, sono cadute nell'oblio per
la mancanza del necessario apporto organizzativo, per sostenerle e portarle a
buon fine (…) se non c'è l'organizzazione le idee dopo il primo impulso
vanno perdendo efficacia, cadono nella routine, nel conformismo e finiscono per
essere semplici ricordi.»
Scorrendo
anche vari altri enunciati e riflessioni del “Che”, che si cerca di spacciare come
espressione di una ideologia comunista, ci accorgiamo che invece non necessariamente
si devono inquadrare in una visione comunista, né tanto meno nella idolatria
comunista nel partito, ma rispecchiano più che altro l”idealista”:
·
O siamo capaci di sconfiggere le idee
contrarie con la discussione, o dobbiamo lasciarle esprimere. Non è possibile
sconfiggere le idee con la forza, perché questo blocca il libero sviluppo
dell'intelligenza.
·
E' sempre invincibile un popolo che
abbia chiara coscienza delle proprie forze e in mano le armi per difendersi;
restando uniti al governo, questa è la nostra lezione più grande da dare al
mondo.
·
Contro l'Imperialismo sempre!!!
L'imperialismo non può mutare è per sua natura aggressivo, anarchico,
contraddittorio e perfino incoerente. Ma deve cercare nuove vie per trovare il
modo di sopravvivere. Sta provando tutte le manovre, mentre cammina sull'orlo
di una guerra mondiale, che segnerà la sua definitiva scomparsa.
·
Abbiamo imparato con la rivoluzione,
che quando in Cile, Argentina, Cuba, Vietnam, in qualsiasi altro Paese del
Mondo, vi è un uomo oppresso o ferito, in quel momento è intaccata la nostra
dignità.
·
Sono Cubano e sono anche Argentino.
Sono patriota dell'America Latina, di qualsiasi paese dell'America Latina, nel
modo più assoluto, e qualora fosse necessario sarei disposto a dare la mia vita
per la liberazione di qualsiasi paese Latino-Americano, senza chiedere niente a
nessuno, senza approfittare di nessuno.
·
Nessuna persona nell'intero mondo può
sentirsi libera se c'è una sola persona in catene.
·
Non siamo i depositari della verità,
nè di tutta la sapienza del mondo, e dobbiamo imparare giorno per giorno, e nel
momento in cui smetteremo di apprendere, o crederemo di sapere tutto, o avremo
perso la capacità di capire il popolo e la sua gioventù, quello è il momento in
cui avremo smesso di essere dei rivoluzionari.
·
Se io muoio, non piangere per me: fai
quello che facevo io e continuerò a vivere in te.
·
Potrebbe accadere che in alcuni di
questi giorni ci sia dato lasciare il nostro ultimo respiro, su qualsiasi terra
di questa nostra America, tanto nostra perché innaffiata col nostro sangue.
Cosa contano i pericoli e i sacrifici di un uomo o di un popolo, quando è in
gioco il destino dell'intera umanità?
·
Vi chiedo di essere essenzialmente
umani, ma così umani da avvicinarvi al meglio di ciò che è umano, purificare il
meglio dell'uomo attraverso il lavoro, lo studio, l'esercizio della solidarietà
continua con il popolo e con tutti i popoli del mondo".
·
Fino a quando il colore della pelle
non sarà considerato come il colore degli occhi noi continueremo a lottare.
Il
già citato Antonio Moscato (“Riscopriamo il Che sconosciuto”
http://62.149.226.72/rifondazionepescara/?p=1336
), nel tentativo di trovare in
Guevara
il comunista, anche nelle sue critiche al sistema sovietico (<<un
originale
“riscopritore”
del marxismo, capace di prevedere e intuire le ragioni di un possibile
crollo
del sistema “socialista” che pure, al tempo suo, appariva nel pieno della sua
potenza>>,
già nei termini adoperati: “riscopritore originale”, ne mostra
involontariamente
invece tutta la problematicità, n.d.r. ).
Moscati,
dopo aver studiato molti testi di Guevara, rimasti inediti a Cuba, e aver ritenuto
che <<Guevara consigliava di fare con Lenin [cioè
leggerlo, n.d.r.] , con cui pure aveva un disaccordo sulla Nep>>,
ha selezionato molti passaggi del suo pensiero, tra tanti altri, egli cita i
seguenti:
(Si parla dei kholchos
nelle campagne che il Che pensa siano da considerare “presocialisti”)
<<Guevara
osserva più volte che quanto è descritto nel Manuale è proprio dell'Urss e non
del socialismo. Guevara è implacabile con tutte le formule vuote, come il
«centralismo, uno dei miti largamente diffusi».
«Le ultime risoluzioni economiche dell'Urss somigliano a quelle adottate dalla Jugoslavia quando scelse la strada che l'avrebbe portata a un graduale ritorno al capitalismo. Il tempo dirà se si tratta di un incidente passeggero o se implica una decisa tendenza all'arretramento. Tutto parte dalla concezione erronea di cercare di costruire il socialismo con elementi di capitalismo, senza cambiarne effettivamente il senso. Per cui si perviene a un sistema ibrido che finisce in un vicolo cieco».
«Una
delle pecche gravi del sistema sovietico» è che «gli incentivi morali sono dimenticati
o marginali». Di fronte a un'affermazione trionfalista sulla Banca di Stato
dell'Urss che sarebbe «la banca più potente del mondo» grazie alle filiali collocate
nella capitali delle repubbliche sovietiche, dei territori e regioni, e in quasi
tutti i distretti del paese, Guevara scrive maliziosamente:
«Possiede anche filiali a Londra e a Parigi (un poco mimetizzate). Ci si può chiedere se tutto ciò non influirà sui metodi e le concezioni della direzione sovietica, così come gli istituti creditizi di proprietà del partito argentino influiscono sulla sua linea di intervento politico».
Il paragone di Guevara con il Partito comunista della sua Argentina è interessante, e
«Possiede anche filiali a Londra e a Parigi (un poco mimetizzate). Ci si può chiedere se tutto ciò non influirà sui metodi e le concezioni della direzione sovietica, così come gli istituti creditizi di proprietà del partito argentino influiscono sulla sua linea di intervento politico».
Il paragone di Guevara con il Partito comunista della sua Argentina è interessante, e
spiega
bene che la critica del Che alla maggior parte dei partiti comunisti latinoamericani
non era solo ideologica o morale, ma partiva dalla consapevolezza del loro
inserimento, subalterno, ma totalmente complice, nel sistema capitalistico.
Nel
corso del grande dibattito economico del 1963-1964 (…) alcune raccomandazioni
[di
Guevara] erano decisamente scomode: ad esempio puntare ad aumentare la produttività;
lottare contro gli sprechi e il parassitismo, le assunzioni clientelari, il rigonfiamento
degli organici indipendentemente da una valutazione rigorosa di costi
e
ricavi:
«Dobbiamo funzionare meglio del capitalismo, se vogliamo batterlo».
«Dobbiamo funzionare meglio del capitalismo, se vogliamo batterlo».
L'ultimo
Guevara aveva cominciato a riflettere anche sulla deformazione burocratica della
rivoluzione. Ci sono alcuni articoli, un discorso franco ed autocritico alla gioventù
algerina del giugno 1963 «un freno per l'azione rivoluzionaria», ma anche «un
acido corrosivo che snatura [... ] l'economia, l'educazione, la cultura e i
servizi pubblici».
Il
non “comunista” Guevara
Del
tutto all’opposto le valutazioni di Giovanni Scuderi (vedesi: Alcune riflessioni
su un diversivo creato dai neo revisionisti e dai trotzkisti: “Dove porta
la bandiera di Guevara”, http://www.pmli.it/Guevara.html, il
quale comincia con l’osservare che:
<<Guevara
nasce a Rosario, in Argentina, il 14 giugno 1928, da una famiglia borghese da
cui riceve una formazione borghese che egli coltiva fin quando diventa adulto.
A 25 anni è ancora seguace di Freud e della psicanalisi. Questa origine borghese
e questa formazione borghese non l'abbandoneranno mai.
Nemmeno
quando a 26 anni, in Guatemala, legge alcune opere di Marx, Lenin e Mao, e
quando partecipa, due anni dopo, inizialmente come medico e poi come spalla di
Castro, alla rivoluzione cubana. Pur gettandosi anima e corpo nella rivoluzione,
e dando prova di abnegazione, di spirito di sacrificio, di coraggio e di disprezzo
del pericolo, - sono questi gli aspetti che più colpiscono i giovani rivoluzionari
che non hanno ancora maturato la coscienza di classe e marxistaleninista - egli
però non riesce a trasformare la propria concezione del mondo e a rigettare
l'individualismo, l'idealismo e l'avventurismo di cui era impregnato>>.
Nella
costruzione del socialismo Guevara occupa posti e svolge funzioni di fondamentale
importanza nelle relazioni estere, in campo militare e soprattutto sul fronte
economico. Nel settembre del '59 viene nominato Capo del Dipartimento dell'industrializzazione
dell'Istituto nazionale della riforma agraria, due mesi dopo diventa Presidente
della Banca nazionale e nel febbraio del '61 è nominato ministro dell'industria.
Anche in questa fase, egli continua a essere la spalla di Castro.
Ne
riconosce apertamente l'autorità e la direzione. Ne condivide la politica
interna ed estera.
Precisato questo, Scuderi,
per sottolineare l’avventuriero e l’idealista, antitetico al rivoluzionario
comunista marxista leninista, ricostruisce buona parte degli atti, delle
iniziative e del pensiero di Guevara. Anche qui ne riportiamo alcuni stralci:
Il
1 aprile '65, prima di lasciare Cuba per l'impresa guerrigliera nel Congo
(attuale
Zaire),
Guevara scrive in una lettera ai suoi genitori:
“Molti mi diranno un avventuriero, e lo sono; solo che di un tipo diverso, di quelli che rischiano la pelle per dimostrare le proprie verità''.
“Molti mi diranno un avventuriero, e lo sono; solo che di un tipo diverso, di quelli che rischiano la pelle per dimostrare le proprie verità''.
In
un intervento all'Onu, nel dicembre '64, Guevara afferma: “La mia storia di rivoluzionario
è breve: comincia realmente sul `Granma' (il battello su cui
erano
imbarcati
gli 82 rivoluzionari che vanno a liberare Cuba dalla dittatura di Fulgencio Batista, n.d.a.) e continua tuttora. Non ho mai
appartenuto al partito comunista fino ad
oggi
che sto a Cuba''.
E
questo mentre aggiunge subito dopo: "Possiamo proclamare tutti di
fronte a
questa
assemblea che il marxismo-leninismo è la teoria politica della rivoluzione
cubana''.
Un
anno dopo la vittoria della rivoluzione cubana, siamo esattamente al 28 gennaio
1960,
Guevara lo esalta ancora così in un raduno di massa: “Martí era nato, aveva
sofferto
ed era morto per l'ideale che noi adesso stiamo realizzando, e non solo:
Martí
fu il mentore della nostra rivoluzione, l'uomo alla cui parola è stato sempre
necessario
ricorrere per interpretare giustamente i fenomeni storici che stavamo
vivendo,
l'uomo alla cui parola e al cui esempio bisognava rifarsi ogni volta che
nella
nostra pratica si voleva dire o fare qualcosa di importante''.
Da queste parole risulta chiaramente che è Martí il
suo modello di vita, il suo maestro ideologico e politico e il suo punto di
riferimento programmatico, e non i grandi maestri del proletariato
internazionale e l'esperienza storica della rivoluzione socialista e degli
Stati socialisti.
Parlando
dell'ideale del guerrigliero afferma: “Questo ideale è semplice, puro, senza
grandi pretese e, in generale, non va molto lontano: ma è così tenace e chiaro
che è possibile sacrificargli la propria vita senza esitare minimamente.
Per
la quasi totalità dei contadini, è il diritto di avere un pezzo di terra
propria da coltivare e di godere di un trattamento sociale giusto. Per gli
operai, è avere un lavoro, ricevere un salario adeguato e anche lui un
trattamento giusto. Fra gli studenti e fra i professionisti si trovano idee più
astratte, come il significato della libertà per la quale combattono''.
Rileviamo
[stiamo
sempre riportando stralci dell’articolo di Scuderi, n.d.r.] che
nel
pensiero
e nell'opera di Guevara non c'è traccia degli insegnamenti del marxismoleninismo-pensiero
di Mao. Lo dimostra anche il fatto che uno dei suoi primi viaggi all'estero, in
rappresentanza del governo cubano, lo fa, nell'agosto '59, in Jugoslavia,
il
primo Stato revisionista della storia, già in rotta di collisione con l'allora
campo socialista, riportandone una buona impressione.
Sul
piano concettuale, l'internazionalismo di Guevara è tutt'altro che proletario.
Non a caso lo chiama “Internazionalismo rivoluzionario'' e non
proletario nel comunicato n. 4 “al popolo boliviano'', che diffonde
quando si trova in Bolivia.
La
sua concezione internazionalista è umanitaria, ecumenica, interclassista, assolutamente
estranea al marxismo-leninismo-pensiero di Mao, ed è mutuata da Martí. Lo
dimostrano queste sue parole: “Dobbiamo praticare il vero internazionalismo
proletario, sentire come un'offesa personale qualsiasi aggressione, qualsiasi
offesa, qualsiasi azione che vada contro la dignità dell'uomo, contro la sua
felicità in qualsiasi parte del mondo.
Dobbiamo
tenere sempre alta la stessa bandiera di dignità umana che alzò il nostro
Martí,
guida di molte generazioni, presente oggi con la sua freschezza di sempre nella
realtà di Cuba: `ogni uomo vero deve sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato
sulla guancia di qualsiasi uomo' (citazione di Martí, n.d.a.)>>.
In
una famosa lettera alla Tricontinentale, Guevara scrive: <<…Le nostre
aspirazioni, in sintesi, sono queste: distruzione dell'imperialismo mediante l'eliminazione
del suo baluardo più potente: il dominio imperialista degli Stati Uniti
d'America. Come obiettivi tattici assumiamo la liberazione graduale dei popoli,
a uno a uno, o per gruppi, attirando il nemico in una lotta difficile fuori dal
suo terreno, liquidando le sue basi di appoggio: i territori dipendenti.
Come
potremmo guardare a un futuro luminoso e vicino se due, tre, molti Vietnam sbocciassero
sulla superficie del globo, con le loro parti di morti e di immense tragedie,
con il loro eroismo quotidiano, con i loro ripetuti colpi all'imperialismo, con
l'obbligo, per esso, di disperdere le sue forze sotto l'urto del crescente odio
dei popoli del mondo!>>
Mai
prima di allora, ma anche successivamente, idealismo, soggettivismo, spontaneismo,
volontarismo, avventurismo, fantasia e lirismo avevano pervaso in simile misura
il cervello di un piccolo borghese rivoluzionario.
[Qui è d’obbligo una nostra
osservazione: accuse simili, sia pure in un altro contesto, vennero spesso
elevate dai marxisti a Mussolini per aver abbandonato il massimalismo marxista,
uscendo dall’ortodossia, per il socialismo nazionale e la valorizzazione degli
ideali combattentistici].
Nella
stessa occasione [in sede della Tricontinentale, n.d.r.] contro
l'evidenza dei fatti, arriva addirittura a mettere sullo stesso piano la Cina
di Mao e l'Urss di Leonid Breznev causando un danno incalcolabile
alla causa del socialismo.
Queste
le sue parole veramente imperdonabili: <<Sono altrettanto colpevoli
coloro (l'Urss, n.d.a.) che nel momento decisivo esitarono a fare del
Vietnam una parte inviolabile del territorio socialista, correndo sì il rischio
di una guerra mondiale, ma
obbligando
a una decisione gli imperialisti Usa. E sono colpevoli coloro (la
Cina, n.d.a.) che continuano una guerra di insulti e colpi di spillo,
iniziata già da tempo dai rappresentanti delle due massime potenze del campo
socialista.
Chiediamo,
esigendo una risposta onesta: si trova o no isolato il Vietnam, in pericoloso
equilibrio fra le due potenze in lotta?>>.
Nelle
teorizzazioni di Guevara c'è poco posto per la classe operaia e per il partito
della
classe
operaia. Le sue attenzioni maggiori sono tutte rivolte all'uomo e all' “avanguardia
guerrigliera'', non alla classe operaia e al suo partito. Come il papa e gli
ideologi borghesi, egli incentra il suo discorso sull'uomo in generale, non curandosi
della sua origine e collocazione di classe.
Guevara,
in ultima analisi, parlando dell'uomo, secondo schemi umanitari borghesi, idealistici
e non materialistici, in realtà parlava dei problemi dei piccoli borghesi e alludeva
alle libertà democratico borghesi che voleva esistessero nel socialismo.
In
verità a Guevara non andava proprio giù l'idea di assegnare al partito della
classe operaia il ruolo dirigente della rivoluzione cubana. La concezione del
Partito marxista-leninista non faceva parte del suo bagaglio culturale e della
sua esperienza pratica. Il fatto che la rivoluzione cubana era stata fatta
senza la direzione del partito della classe operaia gli era rimasto talmente
impresso da convincerlo che tale partito non sia assolutamente necessario per
la rivoluzione e che il suo ruolo possa essere assolto dall' “avanguardia
guerrigliera''.
Guevara
non aveva un'idea chiara e corretta della costruzione del socialismo. Anche in
questo campo non tiene conto dell'esperienza storica del socialismo e della
teoria marxista-leninista. Cosicché oscilla tra il revisionismo di destra e
quello di “sinistra''.
L’utopia
comunista
Fin
qui abbiamo dato un parzialissimo sguardo alla diatriba sul “Guevara comunista”
che divide i marxisti. A nostro avviso è una polemica e una discussione assurda
che è falsata in partenza dal fatto che il Comunismo è una vera e propria utopia
per la quale nelle persone più attente, più schiette ed ovviamente in buona fede,
produce divergenze dottrinali e di prassi politica e non di rado (vedi
Mussolini) li spinge a rotture traumatiche ed a perseguire altri sentieri.
Siamo
certi che qualcosa di simile sarebbe accaduto anche a Guevara se non fosse morto
prima, e i sintomi di questo scollamento, se non addirittura di un mai pieno allineamento
al marxismo, sono emersi dagli stessi studi di matrice marxista.
Consideriamo
allora anche la nomenklatura comunista, presente nella Repubblica cubana, che
tanto spaventa il borghese e il destrista che ha paura che gli portano via la
casa, la bottega, il crocefisso: ah quei cavalli dei Cosacchi che volevano
venire ad abbeverarsi nella fontane di San Pietro (magari! Ci sarebbe da dire
oggi, visto come siamo andati a finire, che società degli spettri e da “Grande
Fratello” si è instaurata in Occidente e come abbiamo totalmente perso ogni
residuo di sovranità nazionale).
La
storia ci ha dimostrato che le nazioni che hanno conosciuto decenni di
dittatura comunista, una volta imploso il comunismo, dileguatosi come una
“brutta nottata”, hanno mostrato che il popolo, nonostante le violenze subite e
la privazione delle libertà personali, è rimasto sostanzialmente integro,
mentre invece dove è arrivato il “mondo libero”, l’americanismo, tutto è andato
perduto: tradizioni, culture, peculiarità dei singoli popoli, tutto annientato
dall’Occidente, il vero nemico dell’Uomo.
Questo
perché il comunismo, nella sua accezione marxista leninista è una utopia, una
concezione
impossibile per la natura umana. Può essere transitoriamente imposto con la
forza, ma inevitabilmente la natura umana, il suo spirito, finiscono per prendersi
la loro rivincita.
Ed
infatti, nei paesi dove il comunismo è andato o è stato imposto al potere, una
vera società comunista non si è mai riusciti a realizzarla e una volta
collassato il sistema, del comunismo non restava più nulla.
Ma
invece non è così per l’Occidente, il vero nemico dell’uomo, con il suo
edonismo e
il
suo iper individualismo che sono un killer spietato dello spirito dell’uomo.
Come
disse un poeta sud coreano negli anni ’50: dopo sei mesi che erano arrivati questi
americani in Corea, non riconoscevo più il mio popolo distrutto dal vizio, dalla
corruzione, dalla Coca Cola. Figuratevi oggi noi, dopo quasi 70 anni di colonialismo
americano, dove abbiamo addirittura perso la gioventù disintegrata dalle mode,
dalle musiche, dagli stadi dalle discoteche, dai tatuaggi, dai piercing, dagli
Ipood e tablet, e dai videogiochi. Per non parlare dell’altro “regalo” dell’Occidente:
sballo e droghe.
E
qui è doveroso far notare come fosse profondamente errata ed anche strumentale
a certe strategie degli opposti estremismi, la tesi di certa destra che
sosteneva che, in ogni caso, bisognava difendere il “mondo libero” rispetto al
male peggiore che era il comunismo.
Tutto
questo per far notare che quando si parla di comunismo e di comunisti e soprattutto
di nazioni comuniste, non bisogna dar di matto, ma considerare anche tutto
quello che abbiamo appena detto e rendersi anche conto quanto sia problematico
dare la patente di “comunista” ad un uomo come Guevara.
Guevara
rispetto al fascismo
Dopo
aver strappato Cuba alla dittatura di Fulgencio Batista (l’uomo degli yankee e
delle oligarchie parassitarie cui, è bene ricordare, non pochi destristi di
vari paesi del mondo, a cominciare dal missista Ernesto Brivio, vantavano
amicizia) che aveva ridotto quell’isola al tempio del vizio, della corruzione,
riserva delle mafie statunitensi e con tutte le scarse ricchezze del paese nelle
mani di pochi speculatori e latifondisti (mentre il popolo moriva di fame),
Castro ha compiuto un vero miracolo geopolitico e sociale.
Qualche
imbecille di destra o benpensante di questa società dei consumi, che è passato
per Cuba, cieco di fronte alle conquiste sociali di Castro, ha notato che i cubani
non hanno il frigorifero ultimo modello e che il paese è sottosviluppato, non rendendosi
conto della situazione geopolitica, drammatica, di quel paese e del fatto che
pur è stata garantita la sanità, l’istruzione ed addirittura un minimo di alimentazione
a tutti, ma che soprattutto le conquiste di un popolo non si valutano solo in
termini di “modernità” con quel che questo “sviluppo” comporta come sfruttamento
e speculazione, ma soprattutto di distruzione dell’ambiente e alienazione della
vita.
Orbene,
la nazionalizzazione o il controllo delle imprese e dei servizi, la riforma agraria
con la ridistribuzione delle terre ai contadini, le case per il popolo,
l’istruzione per tutti, realizzate da Castro e dal “Che”, tra difficoltà
indicibili e scarsezza di materiale umano residuo di una piccola colonia, sono
anche state, ancor prima di Castro, un patrimonio sociale del fascismo
repubblicano.
Il
fascismo inoltre, nemico dell’individualismo, non solo ha profuso grandi
impegni nello “stato sociale, ma ha anche sempre praticato il principio
antiliberale, della “mutualità”, una mutualità messa al servizio del paese e
del popolo per riequilibrare gli squilibri sociali tra le diverse aree
geografiche.
Non
molto di diverso, a parte le dimensioni, è stato fatto per Cuba.
Una
concreta differenza, semmai, la si riscontra sul fatto che l’idealismo di
Guevara è “internazionalista”, si badi bene, non in senso delle Internazionali
comuniste, ma nel senso che Guevara nella lotta di liberazione dei popoli non
fa differenze di razza e nazioni, mentre il fascismo propugna questa sua
visione di liberazione e di socialismo nazionale nello specifico della propria
etnia e nazione.
Sull’Internazionalismo
del resto c’è una pregiudiziale di fondo che, a grandi linee, si può esprimere
così: il contesto culturale di Guevara, per quanto poliedrico, parte comunque
dalla premessa che l’Imperialismo è determinato dal processo produttivo controllato
e in mano del capitalismo, il quale produce gli squilibri, lo sfruttamento e le
necessità di praticare la “pirateria” internazionale ovvero dominio,
aggressioni e guerre. Eliminando il capitalismo, realizzando il socialismo in
tutto il mondo, non dovrebbero più esserci imperialismo e guerre.
Per
il fascismo invece, questa è una utopia, perché l’imperialismo e la guerra non sono
determinati solo dal capitalismo, ma sono insiti nella natura dell’uomo, nel
suo archetipo immutabile dalla notte dei tempi. Le guerre ci saranno sempre,
mentre la società idilliaca a livello mondiale non ci sarà mai. Ergo, ogni
Stato, ogni cultura deve attrezzarsi e organizzarsi secondo le proprie
peculiarità e tradizioni, realizzando i principi di giustizia sociale, del
diritto e di elevazione del popolo dalle bassezze, soprattutto spirituali,
della condizione umana.
Noi
siamo certi, intuendolo dalle pieghe del pensiero e dell’azione di Guevara, che
con il tempo, accomunate tutte le necessarie esperienze, il “Che” che era un
uomo intelligente, idealista, in buona fede e non sottomettibile alle idolatrie
del partito, quelle di bolscevica o staliniana memoria, sarebbe prima o poi
arrivate alle stesse conclusioni.
Nel
tentativo di negare ogni sia pure parziale assimilazione del pensiero di
Guevara con il fascismo (attenzione, se per fascismo intendiamo quello che, dal
dopoguerra ad oggi, hanno manifestato le destre neofasciste, ovvero una destra
reazionaria e conservatrice, possiamo dargli piena ragione) alcuni
intellettuali di sinistra hanno finito per mettere insieme quelle per loro sono
delle esplicite antitesi tra Guevara e il fascismo (ad esempio vedesi: A.
Moscato: “Ernesto Guevara un comunista”, http://mobile.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/1590/
):
<<La
vera incompatibilità tra i fascisti di qualunque genere e il Che nasce dalle caratteristiche
essenziali del pensiero e dell’azione di Guevara.
Prima
di tutto dal suo internazionalismo, al tempo stesso etico (sentire sulla
propria guancia lo schiaffo dato in qualsiasi parte del mondo) e materialista
(stabilire intese con altri paesi produttori di zucchero, per evitare di farsi
la concorrenza).
Altrettanto
lontano dal fascismo, anzi anti-fascista, il suo «dobbiamo saper essere duri
senza perdere la tenerezza», che difendeva come inevitabili le misure di autodifesa
di una rivoluzione uscita da una lotta feroce, ma vigilava contro i pericoli di
involuzione autoritaria>>.
Ora,
di tutte queste valutazioni messe insieme, come abbiamo visto, solo la prima regge
alla verifica, ovvero quella di una visione “internazionalista” di Guevara, ,
ma tutto sommato non ci sembra motivo di una diversificazione netta e
definitiva in quanto ogni visione della vita e del mondo deve poi sempre fare
le verifiche con la realtà, con la condizione umana. E in questa verifica,
Guevara e il fascismo repubblicano si sarebbero certamente incontrati, laddove
la “lotta del sangue contro l’oro” sembra proprio accomunarli in una
comune barricata.
La
storia “etica” dello “schiaffo” è addirittura ridicola se si vuol negare, a
prescindere, a un fascista la sensibilità verso le ingiustizie e le prepotenze
e cosa dovremmo allora dire delle atrocità del bolscevismo e dello stalinismo?
Va ad onore di Guevara averla esternata, ma non è di certo una prerogativa dei
soli comunisti.
Per
quel che è l’intento di stabilire intese economiche con gli altri paesi
produttori dello zucchero è questo un concetto economico internazionale di
mutualità e socialità, anticapitalista, ma lo si riscontra anche nella storia
del fascismo, la sua lotta per l’autarchia e le plutocrazie e addirittura nel
nazionalsocialismo se, per esempio, andiamo a considerare gli intenti della
Germania di instaurare con gli altri paesi il “baratto” ovvero il pagamento di materie
prime, non tramite l’oro e le banconote (gli strumenti della finanza
speculatrice), ma con i prodotti finiti dell’industria, quindi con il lavoro,
rendendo un vantaggio alle nazioni ricche di lavoro, ma povere di oro e di
valuta e ai paesi produttori di materie prime, ricchi di queste materie, ma
poveri di prodotti finiti.
Ed
infine, sempre per considerare le “differenze” accennate da questi ambienti di sinistra,
ci sarebbe da chiedere chi lo ha stabilito che un fascista non potrebbe “essere
duro, senza perdere la tenerezza”?
Ma
andiamo avanti. A sinistra si sostiene che per Guevara il militante comunista
è: «un lavoratore instancabile, che, con abnegazione, pone al servizio della
rivoluzione le sue ore di riposo, la sua tranquillità personale, la sua
famiglia o la sua vita … deve essere sempre il più giusto (…). Non può
essere un buon comunista colui che pensa alla rivoluzione solo quando arriva il
momento del sacrificio, della battaglia, dell'avventura eroica, di ciò che esce
dal volgare e dal quotidiano, mentre nel lavoro di ogni giorno è mediocre o
peggio.»
Ebbene,
cambiano le espressioni utilizzate, i termini di riferimento politici, il modo di
porre le definizioni etiche e morali, ma non siamo poi così distanti
dall’enunciato della “dottrina del fascismo” che recita:
«La
vita quale la concepisce il fascista è seria, austera, religiosa: tutta librata
in un mondo sorretto dalle forze morali e responsabili dello spirito. Il
fascista disdegna la vita “comoda”».
Basterebbe
considerare che il “vivere” religiosamente, non è dato dal fatto di professarsi
o meno di una tal religione, ma dagli atti concreti, quotidiani di vita, quelli
che si elevano dalle necessità, dalle meschinità e dagli interessi materiali dell’uomo;
quotidianità di vita che è ancor più sensibile e pregna di impegni e doveri per
chi si è consacrato alla “politica”, alla “rivoluzione”, ovvero per chi deve necessariamente
essere di esempio agli altri con cui convive e che vuol convincere e chiamare
alla lotta e magari al sacrificio della vita.
In
definitiva, per un “ateo” o un “religioso”, la vera differenza non sta in ciò
che uno razionalmente o per fede, crede o predica, ma nel suo comportamento
quotidiano, essendo la propria dimensione spirituale racchiusa nell’equazione
personale di ciascun individuo e nel modo con cui affronta la vita.
In
termini storico – politici Guevara scrive che: «il merito di Marx risiede
nell'aver prodotto di colpo nella storia del pensiero sociale un cambiamento
qualitativo.
Non
solo egli interpreta la storia, ne comprende la dinamica e ne prevede il
futuro, ma oltre questo, che segnerebbe il limite del suo dovere scientifico,
esprime un concetto rivoluzionario: non basta interpretare la natura, bisogna
trasformarla.
L'uomo
cessa di essere schiavo e strumento del mezzo e diventa architetto del proprio
destino.
Anche
in questo caso, vi è un apprezzamento sociologico e rivoluzionario che può essere
più o meno condiviso, ma che per i fascisti non costituisce di certo uno scandalo
ideologico, anche perché non tutti gli studi marxiani sono da buttare.
Considerandone
gli atti e gli scritti ci accorgeremo che il comunismo di Guevara, al di là
delle definizioni appunto utilizzate, ha poco a che vedere con i regimi
bolscevichi o stalinisti, ma è costituito da alcune enunciazioni di principio
che possono benissimo essere condivise dal fascismo repubblicano, socialista e
rivoluzionario che, è sempre bene ricordarlo, costituì un momento di rottura
epocale con il fascismo del ventennio e nulla ha a che vedere con il “neofascismo”
dal dopoguerra in avanti.
In
sostanza il “comunismo” di Guevara, di certo influenzato da Martì e anche dal peronismo,
si esplicita in alcuni presupposti ideali che più o meno riguardano la lotta per
la libertà e per l'eguaglianza dei popoli attraverso una rivoluzione, la nazionalizzazione
dei mezzi di produzione (che poi nella sua attuazione pratica avrà delle
eccezioni), l’elevazione morale e materiale del popolo. Per conseguire questi obiettivi
Guevara ha sempre sostenuto l’importanza di una “avanguardia” di partito e la
necessità della critica degli errori e l'autocritica, quali strumento di
correzione e allo stesso tempo di crescita politica collettiva di
un'organizzazione.
A
nostro avviso non siamo poi così agli antipodi del fascismo, che si prefigge
gli stessi obiettivi con la differenza di realizzarli attraverso le specificità
e diversità dei singoli popoli e culture e non in un egualitarismo indistinto,
inesistente in natura.
Ovviamente
non sosteniamo che così come non vi è una piena assimilazione tra Guevara e
l’ideologia comunista, ci possa invece essere una completa assimilazione con
l’ideologia fascista, ma il semplice fatto che, molti programmi e progetti
della rivoluzione cubana, attitudini rivoluzionarie di Guevara e la sua
irriducibile lotta contro l’imperialismo americano, si pongono sullo stesso
piano socialista e realizzativo del fascismo repubblicano della RSI e della
lotta del fascismo contro le plutocrazie. Un po’ come è avvenuto con Nicola
Bombacci, tra i fondatori del comunismo nel 1921 e tra i realizzatori, assieme
a Mussolini, del programma sociale della RSI nel 1943 –’45.
La
Repubblica Sociale Italiana
Per
gli immemori e i distratti è quindi bene ricordare alcuni dei punti del Manifesto
di Verona, voluti da Mussolini e patrimonio del Partito Fascista Repubblicano:
<<
1)
Sia convocata la Costituente, potere sovrano d'origine popolare, che dichiari
la
decadenza
della monarchia, condanni solennemente l'ultimo re traditore e fuggiasco,
proclami la repubblica sociale e ne nomini il Capo.
3) La Costituzione repubblicana dovrà assicurare al cittadino - soldato, lavoratore e
contribuente
- il diritto di controllo e di responsabile critica sugli atti della pubblica
amministrazione.
Ogni cinque anni il cittadino sarà chiamato a pronunziarsi sulla
nomina
del Capo della Repubblica.
4) La negativa esperienza elettorale già fatta dall'Italia e l'esperienza parzialmente
negativa
di un metodo di nomina troppo rigidamente gerarchico contribuiscono entrambe ad
una soluzione che concilii le opposte esigenze. Un sistema misto (ad esempio,
elezione popolare dei rappresentanti alla Camera e nomina dei ministri per parte
del Capo della Repubblica e del Governo e, nel Partito, elezione di Fascio salvo
ratifica e nomina del Direttorio nazionale per parte del Duce) sembra il più consigliabile.
9) Base della Repubblica sociale e suo oggetto primario è il lavoro, manuale, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione.
11) Nell'economia nazionale tutto ciò che per dimensioni o funzioni esce dall'interesse singolo per entrare nell'interesse collettivo, appartiene alla sfera d'azione che è propria dello Stato…
12) In ogni azienda (industriale, privata, parastatale, statale) le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente - attraverso una conoscenza diretta della gestione - all'equa fissazione dei salari, nonchè all'equa ripartizione degli utili tra il fondo di riserva, il frutto al capitale azionario e la partecipazione agli utili per parte dei lavoratori…
13)
Nell'agricoltura, l'iniziativa privata del proprietario trova il suo limite là
dove l'iniziativa stessa viene a mancare .L'esproprio delle terre incolte e
delle aziende mal gestite può portare alla lottizzazione fra braccianti da
trasformare in coltivatori diretti, o alla costituzione di aziende cooperative,
parasindacali o parastatali, a seconda delle varie esigenze dell'economia
agricola…>>.
Questi
sono i punti salienti del socialismo della RSI, ma non finiscono qui, perché
poi ci sarebbe da parlare dei progetti di cooperative per la distribuzione di
vestiario e alimenti, per i loro elementi indispensabile e primari e quelli per
il settore immobiliare che doveva essere in grado di assicurare la casa al
popolo, ecc. Il tutto poi, all’interno di una legislatura all’avanguardia del
mondo per i settori della previdenza, della sanità e della costruzione di
infrastrutture utili alla vita del popolo.
Come riferì Ermanno
Amicucci, al tempo direttore del Corriere della Sera:
«Mussolini voleva che gli anglo americani e i monarchici
trovassero il nord Italia socializzato, avviato a mete sociali molto spinte;
voleva che gli operai decidessero nei confronti dei nuovi occupanti e degli
antifascisti, le conquiste sociali raggiunte con la RSI».
La
Repubblica di Cuba o Stato socialista dei lavoratori
Per
quanto riguarda invece la Repubblica socialista di Cuba, dopo il trionfo della
rivoluzione del 1 Gennaio 1959 seguirono, nell’anno
stesso, forme miste di governo a cui parteciparono anche esponenti
della borghesia non compromessi dai precedenti regimi. Fidel Castro, invece, ricoprirà la
carica di Primo Ministro.
Sfumati
poi, grazie all’intransigenza castrista i tentativi di far defluire le istanze rivoluzionarie della rivoluzione cubana, i ministri
più conservatori e borghesi dovranno capitolare
e molti fuggiranno in Florida.
Nell'ottobre
del 1960 ci sarà la sacrosanta nazionalizzazione delle banche e delle imprese
con più di 24 dipendenti, iniziative
queste che provocheranno varie reazioni, ritorsioni ed embarghi americani e
spingeranno Castro ad appoggiarsi ai sovietici. Dopo di chè Cuba potrà contare
su un unico partner commerciale: i paesi socialisti (Cina, Urss ed Est Europa),
rendendola da questi dipendenti.
A
Novembre del 1959 vi è la creazione dell' "Instituto Nacional de Reforma
Agraria" (INRA)
che ha il fine di ricostruire l'economia cubana in senso socialista, annullare
la produttività capitalista che era funzionale solo agli interessi della
borghesia nazionale e straniera, e assicurare l'equa distribuzione di lavoro e
compensi.
Ecco
come uno studio appropriato riassume le riforme rivoluzionarie cubane:
<<Di
fronte ad un panorama di industrie produttive, altre abbandonate dai proprietari
emigrati all'estero con i capitali, altre ancora improduttive perché i padroni
si erano arricchiti a spese dell'erario in quanto legati al regime di Batista,
il Dipartimento Industriale nel 1960 unisce i fondi di tutte le fabbriche
nazionalizzate (inizialmente solo quelle con più di 24 dipendenti) in un unico
fondo centralizzato in cui i vari stabilimenti depositano i ricavi e ricevono i
finanziamenti programmati in accordo ad un bilancio prefissato.
In
tal modo si contribuisce al contenimento della disoccupazione e si permette
alla
popolazione
di continuare a ricevere i prodotti necessari anche in presenza di una temporanea
non redditività di tutte le aziende. Il personale che risulta eccedente viene
trasferito in altri settori produttivi, mentre i lavoratori per i quali non è possibile
il trasferimento vengono creati corsi di qualificazione tecnica e culturale.
La
Banca Nazionale é depositaria del fondo centralizzato, essa amministra il capitale
finanziario (anch'esso nazionalizzato) e ad essa il Dipartimento Industriale invia
copia dei bilanci delle unità produttive mentre le agenzie bancarie, da parte loro,
non effettuano pagamenti superiori alle cifre stabilite nel bilancio generale.
A guida della Banca Nazionale é "Che" Guevara in qualità di
Presidente dal Novembre del 1959. Nel 1961 il 70% del settore industriale é
nazionalizzato.
Riforma Agraria
L'1%
dei proprietari terrieri cubani controllava quasi la metà di tutto il
territorio
agricolo dell'isola. Le compagnie
"American Sugar Refinig Company", "Vertientes y
Camaguey",
"Francisco Sugar", "Atlantica del Golfo", "Cuban
American Sugar", possedevano circa 2.684.000 ettari, di cui coltivavano
meno della metà. Il salario
dei
braccianti agricoli era di 50 centesimi al giorno!
I1
17 Maggio del 1959 la legge di Riforma Agraria sancisce l'attribuzione dei
titoli di
proprietà
a 150.000 contadini che si dividono tutte le proprietà superiori ai 400 ettari
disintegrando una volta per tutte i latifondi e varando un progetto di istituzione
di cooperative agricole sotto la direzione dell'Inra.
Nel
1961 una seconda Riforma Agraria riduce a 63 ettari il limite della proprietà
privata>>.
Altre
riforme poi riguarderanno i trasporti, i servizi, la sanità (gratuita e a
carico dello
Stato),
ecc. e la necessaria opera di alfabetizzazione del popolo.
Parliamoci
chiaro: molto di quello che ha fatto Castro, lo avremmo fatto anche noi fascisti
se fossimo nati in quella piccola isola sfortunata, passata nel 1898 dal dominio
ispanico a quello yankee, con una popolazione non molto numerosa (al tempo
della rivoluzione di Castro, si contavano circa 6 milioni di abitanti) e con
etnie eterogenee (i bianchi, in prevalenza di origini ispaniche, erano
maggioritari, ma molto alta era la percentuale dei meticci e alquanto sostenuta
quella dei neri ex Africa).
Molte
quindi le similitudini ed ovviamente anche le differenze, tra la RSI e la Repubblica
socialista di Cuba.
Similitudini
e differenze che si riscontrano anche nel determinare le necessarie gerarchie
nel partito e nello Stato, sia nel modo in cui le stava progettando e organizzando
la Repubblica Sociale Italiana e sia come si cercò di attuarle nella repubblica
laico socialista di Cuba, dove pur si recepirono alcuni principi tratti dalle categorie
marxiane ed hegheliane.
Ed entrambe queste due rivoluzioni, pur con i loro
distingui, sono l’antitesi delle gerarchie e delle oligarchie, dei paesi
democratici occidentali, determinate dal possesso del denaro, dalle
manipolazioni e illusioni dell’elettorato.
Da
notare, en passant, che nei paesi capitalisti, anche nelle stesse imprese,
tempio del padronato, le gerarchie si determinano attraverso dei falsi valori.
Tutto al più vi è la ricerca di abili tecnici e manager da porre al servizio
della proprietà per mandare avanti l’Azienda (capacità meritocratiche), ma per
il resto, nei posti di lavoro, si “fa carriera” attraverso il leccaculismo, la
delazione al padrone, l’entrare nelle grazie dei superiori, il valutare tutto
in termini di resa economica. Questo perché i proprietari dell’impresa, a parte
una certa abilità tecnica e manageriale, hanno bisogno di schiavi totalmente
asserviti.
La
concezione delle “Gerarchie” nel Fascismo
Qualcuno
potrebbe obiettare: ma il fascismo è per la Gerarchia identificata nei
valori di merito, eroici e spirituali, mentre il comunismo ne è la negazione.
Certamente
la weltanschauung del fascismo parte da un principio anti egualitario degli
esseri umani e del resto qui non stiamo parlando di comunismo vero e proprio, ma
di Guevara, e il “Che”, deciso ad abbattere le differenziazioni economiche e di
casta e a dare a tutti le stesse possibilità realizzative, distribuendo
equamente le ricchezze del paese e del lavoro, né più e né meno di quello che
aveva fatto il fascismo con la RSI, non aveva una visione della vita e del
mondo esclusivamente materialista.
E
allora anche qui bisogna mettersi d’accordo. Consideriamo quindi il fascismo
della RSI il quale ci mostra anche il suo modello di Stato e il tentativo di
costituzione delle Istituzioni, pur rimasto in parte incompiuto per la guerra e
lasciando perdere il neofascismo conservatore e le sue varianti “evoliane”.
Il
fascismo, giustamente anti egualitario, prospetta uno stato organico di
gerarchie delle capacità a seconda delle qualifiche personali: quindi capacità
tecniche, manageriali, intellettuali, ecc. Sopra di queste le attitudini
eroiche e spirituali, ovvero il predominio di quelle specificità e virtù che
distinguono le individualità eticamente superiori. Questa è la concezione
gerarchica del fascismo, che non ha nulla a che vedere con gerarchie di
carattere plutocratico.
Ma
attenzione: questa concezione dell’uomo e delle gerarchie, che si configura
nella dottrina del fascismo e trova ispirazioni nella sapienza antica (in
questo caso ben illustrata e ricostruita da Julius Evola), il fascismo l’ha intesa come punto di riferimento per
la realizzazione dello Stato organico non come la vedeva, in senso reazionario,
lo stesso Evola che politicamente era rimasto a Metternich..
Il
fascismo, fenomeno del XX Secolo, queste indicazioni le configurava in una concezione
di comunità social nazionale, adeguata ai tempi moderni, mentre Evola, di
fatto, andava poco più in là delle caste e ancora coltivava speranze nelle aristocrazie
d’Europa i cui squallidi residui, invece, erano intenti nei loro amorazzi da rotocalco
e si dilettavano nei casinò e nelle stazioni termali.
Non
a caso Evola non aderì alla RSI sentendo lontano dalla sua concezione l’istituzione
repubblicana, i riferimenti ideali a Giuseppe
Mazzini e la composizione socialista della società.
Il fascismo, per uno di quei miracoli della Storia,
pur venendo, almeno in parte, dal fiume carsico della Rivoluzione francese e
del Risorgimento, fenomeni storici di carattere sovversivo e antitradizionale,
ne interpretava le necessarie istanze rivoluzionarie e al contempo finiva per riallacciarsi
al solco metastorico della Tradizione e ai sui valori.
Questo
perché “indietro” non si poteva tornare e il vecchio mondo delle aristocrazie aveva
fatto il suo tempo, dissolto dalle leggi del divenire e spesso affogando nel sangue
e nella corruzione.
Il
fascismo della RSI, inoltre, si era ben reso conto che il sistema gerarchico
del ventennio, quello delle “cariche dall’alto”, non aveva funzionato ed aveva
espresso gerarchie di buffoni e di approfittatori, palesatesi in pieno il 25
luglio del ‘43.
Mussolini in repubblica disse chiaramente che il
fascismo, con la sua Repubblica Sociale, senza scantonare nella democrazia,
doveva però trovare una via di mezzo tra le cariche dall’alto e le nomine
elettive che pur assicuravano la necessaria critica, sprone e controllo.
Questa
concezione di uno stato “Nazional popolare”, con la società socialmente ridefinita
in termini di socialismo nazionale e la fine dei privilegi economici di casta o
di sfruttamento (nella RSI si progettò anche la riforma del mercato azionario),
era stata stroncata dalla guerra che l’aveva poi anche occultata al mondo, ma è
in buona parte simile a quella vagheggiata da Guevara e da Castro, non ci sono
molte differenze sostanziali, ma soltanto un diverso adattamento nelle
specificità storiche, culturali e geografiche dei due paesi e l’uso di un
diverso linguaggio di propaganda, a causa delle alleanze del tempo e i diversi
presupposti ideali e culturali.
A
differenza delle tradizioni, culture ed etnie del nostro paese, per le quali il
fascismo ne interpretò la valorizzazione nazionalista e di stirpe, per Castro e
Guevara la composizione multietnica della popolazione cubana, non poteva che
indirizzarli verso politiche di uguaglianza razziale e convivenza multietnica,
ma questo non impediva a Guevara di intuire e capire le profonde differenze tra
gli esseri umani, dandocene qualche volta cenni in proposito.
I
Fascisti Della FNCRSI
In ogni caso i fascisti della FNCRSI (Federazione
Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana), fautori di una
società socialista, da realizzarsi in ambito nazionale e fautori di una lotta di liberazione nazionale
dal colonialismo americano e dalle lobby sioniste, ben valutarono e condivisero
la lotta del “Che”.
Non solo onorando nel “Che”, il ruolo
rivoluzionario, l’eroe e il combattente, il compagno di lotta contro il
colonialismo americano, ma anche condividendone tutte quelle posizioni e
istanze politico sociali che trovano similitudine nel fascismo repubblicano.
E’
una comunanza ideale che non ammette ambiguità.
Il
fascismo, come recita la sua Dottrina, è pensiero a cui segue l’azione, ed è
per questo che non ammette falsi scopi, e non ci facciamo incantare da certi “intellettuali”
di destra, parliamo per esempio dello scomparso Giano Accame, missista, già collaboratore del massone Randolfo Pacciardi e della sua Nuova Repubblica, subdolo esperimento
politico di marca “strategie stay behnd”, una delle migliori menti della
destra, da sempre filo sionista, che poi se ne esce con il “fascismo immenso
e rosso” nel tentativo di dare qualche contenuto culturale ad un area di destra
priva di tutto.
Potremmo
anche apprezzare certi suoi sforzi “intellettuali” per una riscoperta sociale del
fascismo, dopo anni di conservatorismo missista, e soprattutto le sue
valutazioni di Ezra Pound e Giacinto Auriti, che allargano il
discorso economico e sociale, mettendo a nudo la truffa legalizzata della usura
internazionale e il signoraggio monetario, ma noi pretendiamo di
più, siamo “estremisti”, vogliamo posizioni nette e definitive, non ambiguità e
soprattutto coerenza di condotta per la quale il MSI, il filo atlantismo e il
filo sionismo, praticati da Accame, sono tradimento del fascismo e degli
interessi nazionale e quindi tutto il resto, parti intellettuali compresi, non
conta più.
Così
come ben poco ci incantano certe onoranze e apprezzamenti, al combattente Guevara
da parte di una presunta “destra movimentista”.
Non
vorremmo, e Guevara non lo meriterebbe di certo, che una certa “infatuazione” a
destra per il “Che”, abbia similitudini con l’infatuazione del destrismo, negli
anni ’60 e ’70 per i “mercenari”. Lo ricordiamo.
Quello
dei “mercenari” era un “immaginario avventuroso” importato da una certa letteratura
e filmografia, una tipologia umana alla quale, nei primi anni ’60, il “Cabaret”
del Bagaglino, dedicò una canzone (dedicandone anche una con Gabriella Ferri, non a caso, al “Che”).
Torme
di giovani destristi, non solo missisti, sognavano avventure come “mercenari” da
qualche parte dell’Africa.
Quella
che, al limite, poteva essere una aspirazione avventurosa, riservata a pochissime
persone e dettata dalla loro equazione personale ed esistenziale, divenne il
classico “sogno di mezza estate” degli insoddisfatti, degli sfaccendati, in
genere i più frustrati e potenzialmente “borghesi”, ma oltretutto, questa
aspirazione venne sostanziata dai peggiori messaggi politici del destrismo.
A
parte il fatto che i “mercenari” della Legione Straniera erano stati i nostri
nemici in guerra, tra questi giovani destristi passava il messaggio che i
“mercenari”, in genere individui con tendenze criminali, assoldati da
multinazionali e governi assassini, fossero una “figura” positiva, da emulare.
Ma
gratta, gratta, tutte le ambiguità vengono al pettine e noi le vogliamo stanare
indicando appunto la nostra adesione non solo al Guevara eroico combattente e
vero rivoluzionario, ma anche al Guevara politico e la sua Repubblica
socialista di Cuba.
Come
abbiamo accennato, già nel 1967, mentre le destre missiste osteggiavano Guevara
e inneggiavano ai Colonnelli greci (pochi anni dopo, senza vergogna, inneggeranno
ad Augusto Pinochet), i veri fascisti ex combattenti della RSI, irriducibili
nemici del missismo e di tutte le destre, presero netta e decisa posizione su
Guevara, così come a favore del Vietnam, dei popoli arabi aggrediti dal
sionismo e del popolo palestinese.
Tempo
dopo i fascisti Fncrsi realizzarono anche il volantino qui in calce esposto comparando,
non a caso, Mussolini e Guevara e prospettando appunto nel “Che” quel “giovane”
che, aveva vaticinato Mussolini, avrebbe ripreso il messaggio rivoluzionario e
universale del fascismo repubblicano.
Le
menzogne del mondo borghese
Prima
di riassumere le vicende di Guevara dal momento in cui decise di lasciare
Castro e Cuba per incamminarsi nel suo ultimo cammino rivoluzionario, dobbiamo
spendere due parole per denunciare e smascherare l’abietto tentativo del potere,
dei suoi manutengoli e dei cretini e creduloni di turno, per smitizzare la figura
del “Che”, attraverso menzogne e imbecillità varie. Si da il caso, infatti, che
il ribellismo rivoluzionario di Guevara, non è mai stato digerito né dagli
americani, né da tutte quelle classi e oligarchie che gli furono contrarie.
Il
fatto che oggi, il consumismo e il capitalismo più speculativo, siano riusciti
a mettere la sua effige sui prodotti di consumo, usandola come réclame, è un
altro indice, non causale, della volontà di distruggere questo mito. Un mito
che dà enormemente fastidio in vista della creazione di un potere mondiale
assoluto e globalizzato che non deve avere reali opposizioni.
Si
da il caso, però, che la scelta rivoluzionaria di Guevara, che lo portò a
lasciare quella che poteva essere una prestigiosa carriera, gratificante di
onori, ai vertici del governo cubano, per perseguire la dura e pericolosa
strada delle rivoluzione antimperialista, dimostra da sola tutte le idiozie
vomitate in questi ultimi anni, nel tentativo di distruggere il “mito” Guevara,
accampando pretese inclinazioni alla vita borghese del “Che” adagiato nelle
posizioni di potere raggiunte a Cuba.
Vili
attacchi che si basano sull’accatto, spesso interessato o remunerato, di
“ricordi” e rivelazioni di soggetti che spuntano dal nulla o dalle miserie
della loro storia personale e che fanno il paio con le elucubrazioni di certi
giornalisti benpensanti, autentici imbecilli, che mirano a tratteggiare il
Guevara come l’esatto contrario del pacifista ed anzi un sanguinario
torturatore.
Che
Guevara non sia stato un pacifista (e per fortuna!) è un fatto acquisito e
positivo, con buona pace dei pacifisti e dei benpensanti, ma non ha neppure
senso che ci si sforzi di costruire ogni evento e situazione, magari con
informazioni di seconda mano, se non false, per mostrare il “Guevara
sanguinario”, visto che stiamo parlando di un rivoluzionario, per anni
impegnato in una guerriglia sanguinosa da ambo le parti e nella difesa, non
certo facile, della rivoluzione cubana, avvenuta nella riserva di caccia
americana e accerchiata da tutte le parti.
Insomma,
siamo in presenza delle balorde “ricostruzioni” pseudo storiche, modello “History
Channel”, ovvero la storia rivista e manipolata ad uso e consumo dei tossico teledipendenti
della società dei consumi. Non meritano di sprecarci altro inchiostro.
Breve
riassunto storico
Rievochiamo
adesso, alcuni passaggi della lotta rivoluzionaria di Guevara dopo la
meravigliosa impresa della liberazione di Cuba, e lo facciamo con la analisi,
fatta proprio dai fascisti della Federazione nazionale combattenti della RSI,
nella rivista “Corrispondenza Repubblicana” del novembre 1967:
<<[Guevara],
ministro dell'Economia e direttore della Banca Centrale, al temine della
rivoluzione crede che la cosa più importante sia di costruire lo Stato
socialista a Cuba.
È
colui che dà maggior impulso alle nazionalizzazioni dei beni statunitensi, e
per ciò che riguarda l'attuazione della riforma agraria tenta di impostare un
sistema di incentivizzazione ideale, in contrasto in ciò con Fidel Castro che
invece vuole degli incentivi di carattere economico.
Col
maturare degli eventi, dopo il 1962, mentre si fa sempre più pesante il condizionamento
sovietico, Guevara si scontra nelle sue teorie economiche con Fidel e con l'Unione
Sovietica (del resto si rende ben conto che sovietici e americani, si
scontrano sul piano tattico, ma sono concordi sul piano strategico di controllo
del pianeta, n.d.r.).
Voleva
spingere l'economia cubana su una strada di forte industrializzazione, ma l'appoggio
sovietico presupponeva aiuti limitati per l'industrializzazione e una grossa
produzione di zucchero da esportare nei paesi comunisti.
Guevara
lascia il Ministero dell'Economia, perde completamente la sua fiducia nell'appoggio
«rivoluzionario» dell'Unione Sovietica (parlerà molto raramente dell'URSS, ma
questo silenzio, in una certa misura, è molto indicativo), comincia a fare
viaggi in alcuni Paesi dell'Asia e dell'Africa. Non crede più nel nazionalismo
o «socialismo cubano» di Castro, ma comincia ad intuire un disegno più vasto.
Guevara
lascia il Ministero dell'Economia, perde completamente la sua fiducia nell'appoggio
«rivoluzionario» dell'Unione Sovietica (parlerà molto raramente dell'URSS, ma
questo silenzio, in una certa misura, è molto indicativo), comincia a fare
viaggi in alcuni Paesi dell'Asia e dell'Africa.
Non
crede più nel nazionalismo o «socialismo cubano» di Castro, ma comincia ad intuire
un disegno più vasto.
Nell'aprile
del 1964 è ad Algeri a colloquio con Ben
Bella. Il «radicale» Ben Bella che concepisce ben altri disegni che quelli
rivoluzionari, orientato decisamente su una via riformista e tecnocratica e con
in più un progetto di forti legami con il capitale americano, delude
profondamente Guevara e gli conferma anzi la sua intuizione sulla logica fine
di una rivoluzione a sfondo nazionale.
Ormai
ha chiaro in mente che la lotta «anti-imperialista» non può che comprendere un
vasto fronte internazionale se vuole avere qualche possibilità di vittoria.
Nei
primi mesi del '65 tenta di organizzare la guerriglia nel Congo, ma questa
volta è il materiale umano a deluderlo: le bande tribali del Congo non sono
addestrabili per nessun tipo di lotta seria e con delle parole più o meno
simili lascerà in breve il tentativo nell'Africa Occidentale.
Il
viaggio a Pekino e l'esperienza del Vietnam sono quelle che più influenzano il «Che».
La Cina aveva condotto tempo addietro un tentativo di collegamento della politica
di alcuni Paesi del terzo mondo per tentare su queste basi una lotta internazionalista.
Il fallimento del viaggio di Ciu En Lai
in Africa aveva fatto scartare definitivamente questa idea, mentre la via della
lotta nel Vietnam in una delimitata area di influenza, nella quale si potevano
far sentire concretamente un appoggio economico e dei motivi di carattere
nazionale e razziale, aveva portato la Cina a restringere l'orizzonte della sua
politica, ma ad aumentare l'efficacia della lotta rivoluzionaria.
Il
viaggio a Pekino non fece di Guevara un «cinese» come comunemente è dato di pensare,
ma anzi fece maturare in lui la presa di coscienza della inutilità dell'internazionalismo
a sfondo cosmopolita, e della validità della via delle lotte nell'ambito delle
grandi aree nazionali.
Ecco
il compiersi del lungo viaggio di Guevara. Da solo, mentre il castrismo aveva
abbandonato
la lotta, e i partiti comunisti ufficiali sotto la guida dell'esperienza sovietica
si impegnavano sulla via politica subordinando a questa la guerriglia o addirittura,
come nel Venezuela, tradendo i guerriglieri, egli gira l'America Latina nel
tentativo di riallacciare le maglie della rivoluzione.
L'esperienza
vietnamita che cerca di ripercorrere nell'America Latina è l'unica possibilità
rivoluzionaria che possa attuarsi nella regione, ma è molto più difficile organizzare
la lotta nel continente sudamericano che ai confini della Cina.
Il
Vietnam ha grandi aiuti militari ed economici, i guerriglieri sono facilmente riforniti
in continuazione e, nello stesso tempo, gli Stati Uniti sono costretti in
quella regione ad agire con le mani legate avendo a che fare con delle
possibili complicazioni che essi non desiderano e vogliono evitare (il
bombardamento della Cina avrebbe come riflesso, quasi certamente, il colpo di
stato militare nell'Unione Sovietica con la fine della distensione).
I
pochi rivoluzionari sudamericani avevano comunque iniziato a dare grossi
fastidi.
In
Bolivia era stata occupata una cittadina e nella regione di Vallegrande i rivoluzionari
avevano cominciato ad avere un certo appoggio dalla popolazione locale. Nel
Venezuela, in Colombia, nel Guatemala la lotta ha degli alti e bassi ma già è
impossibile sradicarla.
Non
crediamo che Guevara si facesse soverchie illusioni sui risultati immediati
della sua azione, comprendeva bene le difficoltà che il movimento rivoluzionario
aveva di fronte.
L'importante
era tenere deste le coscienze, dare un punto di riferimento per la rivoluzione,
mettere in moto il piccolo motore. L'appello che lanciò nei primi mesi di
quest'anno
si chiude con queste parole:
“In qualsiasi posto ci sorprenda la morte sia essa
benvenuta, purché questo nostro grido di guerra giunga ad un orecchio
sensibile, e un'altra mano si tenda ad impugnare le nostre armi, e altri uomini
si apprestino ad intonare il canto funebre con il crepitio della mitraglia e
nuove grida di guerra e di vittoria”.
(Corrispondenza
Repubblicana N. 13 novembre 1967 – visibile in:
L’ultima
lettera del “Che” a Fidel
Fu ad Algeri, il 24 febbraio 1965, che Guevara
intervenendo al "Secondo seminario economico sulla solidarietà
afro-asiatica" tenne il suo ultimo discorso pubblico internazionale.
Disse:
<<"In questa lotta fino alla morte non ci
sono frontiere. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte a quanto accade in
ogni parte del mondo. Una vittoria di qualsiasi nazione contro l'imperialismo è
una nostra vittoria, come una sconfitta di qualsiasi nazione è una nostra
sconfitta"(… ). "I paesi socialisti hanno il dovere morale di
liquidare la loro tacita complicità con i paesi sfruttatori del mondo
occidentale">>.
A Cuba ritornò il 14 marzo’65, accolto all'aeroporto
dell'Avana da Fidel Castro ed altre autorità.
Un paio di settimane dopo, di Guevara si persero le
tracce.
Nell’ultima drammatica e bellissima lettera, scritta a
Fidel (ci sono però dubbi che sia stata data integralmente), resa nota da
Castro, questi esplicita le sue intenzioni
rivoluzionarie e si “confida” davanti al vecchio amico e
compagno di lotta.
Sarà forse un caso, ma parla di rivoluzione, Patria o
morte, ma non cita la parola
“comunismo” i cui paesi del socialismo reale, URSS in
testa lo avevano profondamente deluso:
<<L'Avana,
Anno dell'agricoltura [31 marzo 1965],
Fidel
(...) Facendo un bilancio della mia vita passata, credo di aver lavorato con sufficiente
lealtà e dedizione per consolidare il trionfo della rivoluzione. Il mio unico errore
di una certa gravità è stato di non aver avuto maggiore fiducia in te fin dai primi
momenti della Sierra Maestra e di non aver compreso con sufficiente rapidità le
tue qualità di dirigente e rivoluzionario.
Ho
vissuto giorni meravigliosi e al a tuo fianco ho provato l'orgoglio di
appartenere al nostro popolo nei giorni luminosi e tristi della crisi dei
Caraibi. Poche volte come in quei giorni uno statista ha brillato tanto; e sono
orgoglioso anche di averti seguito senza esitazioni, identificandomi con la tua
maniera di pensare, di vedere e di valutare i pericoli e i princìpi. Altre
terre del mondo reclamano il contributo dei miei modesti sforzi. Io posso fare
ciò che a te è negato per le tue responsabilità alla direzione di Cuba, ed è
giunta l'ora di lasciarci.
Facendo
un bilancio della mia vita passata, credo di aver lavorato con sufficiente lealtà
e dedizione per consolidare il trionfo della rivoluzione. Il mio unico errore
di una certa gravità è stato di non aver avuto maggiore fiducia in te fin dai
primi momenti della Sierra Maestra e di non aver compreso con sufficiente
rapidità le tue qualità di dirigente e rivoluzionario.
Ho
vissuto giorni meravigliosi e al a tuo fianco ho provato l'orgoglio di
appartenere al nostro popolo nei giorni luminosi e tristi della crisi dei
Caraibi. Poche volte come in quei giorni uno statista ha brillato tanto; e sono
orgoglioso anche di averti seguito senza esitazioni, identificandomi con la tua
maniera di pensare, di vedere e di valutare i pericoli e i princìpi.
Altre
terre del mondo reclamano il contributo dei miei modesti sforzi. Io posso fare ciò
che a te è negato per le tue responsabilità alla direzione di Cuba, ed è giunta
l'ora di lasciarci (...)
Sui
nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario
del mio popolo, la sensazione di compiere il più sacro dei doveri: lottare
contro l'imperialismo ovunque esso sia; ciò riconforta e cura ampiamente qualsiasi
lacerazione. Sui nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai inculcato,
lo spirito rivoluzionario del mio popolo, la sensazione di compiere il più sacro
dei doveri: lottare contro l'imperialismo ovunque esso sia; ciò riconforta e cura
ampiamente qualsiasi lacerazione (...).
Che
ovunque andrò, sentirò la responsabilità di essere un rivoluzionario cubano e come
tale agirò. Che non lascio a miei figli e a mia moglie niente di materiale, ma ciò
non mi preoccupa e mi rallegro che sia così. Che non chiedo nulla per loro, perché
lo Stato darà loro quel che è sufficiente per vivere ed istruirsi.
Avrei
molte cose da dire a te e al nostro popolo, ma sento che non sono necessarie:
le parole non possono esprimere ciò che vorrei e non vale la pena di imbrattare
altra carta. Fino alla vittoria sempre. Patria o Morte!
Ti
abbraccio con tutto il fervore rivoluzionario. Che>>
Cosicchè,
dopo un certo peregrinare alla ricerca di realtà rivoluzionarie, Guevara finisce
in Bolivia. Probabilmente vi è anche un segreto accordo tra lui e Fidel, a cui
il “Che” è sempre legato, ma il capo di Stato cubano, non può compromettersi
troppo.
Il
resto è noto: il fallimento della guerriglia in Bolivia, la cattura e la morte.
Il
”Che” immolato a Jalta e fregato dai “compagni al caviale”
Considerando
il mancato sostegno che venne negato a Guevara dal partito comunista
boliviano"
(Mario Monje,
segretario del PC boliviano, lasciò il “Che” senza contatti nella zona inadatta
per una guerriglia in cui pur lo aveva mandato) e la posizione di
non appoggio che dovette assumere Castro, possiamo ben dire che Guevara fu una vittima
sacrificata a Jalta, alla spartizione del mondo in due sfere di influenza Usa –
Urss e gli accordi segreti per la “coesistenza pacifica” tra loro.
Ma
non indifferenti sono state anche le valenze negative, e le sicure delazioni,
che poterono venirgli da tutti quegli ambienti europei di “comunisti al
caviale”, falsi rivoluzionari, editori e noti gli intrufolamenti, esterni
ovviamente, tra gli ambienti della guerriglia di Guevara del regista francese,
pseudo comunista, Règis Debray, che sarà
anche collaboratore di François Mitterand,
ovvero della sinistra francese massonica), altri benestanti neo radicali o pseudo comunisti e le solite logge
massoniche, con epicentro a Praga (reduce dalla Tanzania, Guevara si fermò a
Praga, al tempo nell’area di Mosca, ma da sempre tempio di Logge massoniche),
tutti ambienti che al tempo “cavalcavano” l’immagine rivoluzionaria di Guevara.
Un
mito, questo, che purtroppo tornava utile anche per alimentare certe strategie
della tensione a livello internazionale (non è un caso che il mito di Guevara
sia stato agitato più che altro dai movimenti trotsckisti, nella loro polemica
con l’Urss e come sappiamo inquinati da centrali di intelligence statunitensi e
sioniste). Ma un sostegno indiretto a Guevara in quegli anni ’60, tornava utile
anche a certe forze che avevano interesse a destabilizzare la vecchia
Amministrazione americana al fine di conseguire un passaggio dei poteri, che
poi avverrà con il Watergate, in favore di lobby finanziarie, ma non solo, che
poi non lasceranno più il controllo degli Stati Uniti.
Dopo
il Watergate, infatti, si esaurirono tutte le forme contestative, anche perché venne
meno ogni appoggio trasversale (interessato ), si spense tutta la contestazione
alla guerra nel Vietnam, il ribellismo, le rivolte razziali, le proteste
musicali, la filmografia impegnata in opere di contestazione, ecc.
Insomma
è noto che nella storia, quando si verificano fenomeni di rivolta, c’è sempre qualche
forza, qualche potere, che segretamente cerca di utilizzarli ai propri fini. Lo
stesso, ad esempio, accadde alla Brigate Rosse in Italia, che più di una volta ricevettero
l’invito degli israeliani per aiuti e sostegni.
Anche
Guevara non poteva sfuggire alla condizione che il suo operato, poteva, transitoriamente
e indirettamente, tornare utile a qualcuno. Di certo però chi contrllava una
certa sinistra, al caviale o massonica, o trotschista, agitava anche Guevara
per turpi interessi, che i militanti ovviamente non potevano percepire. Le
collusioni con i Servizi, con le Intelligence occidentali, con le massonerie,
non sono un fenomeno che riguarda solo la destra, anche se a destra è talmente
diffuso da coinvolgerla praticamente tutta.
Il
martirio di Guevara
L'8
ottobre 1967 Guevara ferito viene catturato da forze anti-guerriglia dell'esercito
boliviano, coadiuvate da forze speciali statunitensi, a La Higuera, nella provincia
di Vallegrande (Bolivia). Il 9 ottobre Guevara venne ucciso nella scuola del villaggio
e poi gli amputarono le mani.
Aveva
39 anni essendo nato a Rosario, in Argentina il 14 giugno 1928.
Il
suo cadavere venne ritrovato solo nel 1997 e fu portato nel Mausoleo di Santa Clara
di Cuba.
Al
di là di alcune diverse vedute nella visione della vita e del mondo, noi
fascisti repubblicani rivendichiamo il Che Guevara in tutto e per tutto senza
sé e senza ma.
Hasta siempre,
Comandante!
_----------------------_______--------------------_________-----------------
Federazione Nazionale Combattenti della Repubblica
Sociale Italiana
|
||
Sarà un giovane. Io non sarò più. Lasciate
passare questi anni di bufera. Un giovane sorgerà. Un puro. Un capo che dovrà
immancabilmente agitare le idee del fascismo.
Benito Mussolini,
da «Il testamento
politico»
|
|
|
Uno dei nostri
obiettivi fondamentali è trovare la formula per perpetuare nella vita
quotidiana il nostro atteggiamento eroico. Il guerriero deve tenere una
condotta morale che lo presenti come un sacerdote delle riforme che chiede,
il guerrigliero deve essere un asceta.
Ernesto Che Guevara
|
||
Ovunque ci sorprenda la morte sia essa benvenuta,
purchè questo nostro grido di guerra giunga ad un orecchio sensibile, ed un’altra
mano si tenda ad impugnare le nostre armi, ed altri uomini si apprestino ad intonare
il canto funebre della mitraglia e nuove grida di guerra e di vittoria.
|
||
Sinistra
Nazionale
|
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