domenica 7 febbraio 2016


Napoli, 07/01/2016

Stamane sono entrato in un openspace, insomma, in uno di quegli spazi lavorativi “moderni” che una moda straniera vuol chiamare “uffici” ma che sono, in realtà, stanzoni senza separazione tra una postazione e l’altra, in cui gli echi di una singola conversazione rimbalzano e si inseguono di continuo da una parete all’altra, creando, nell’insieme un brusio di fondo, assolutamente deconcentrante, senza privatezza per conversazioni più riservate (infatti uno dei segni distintivi della carriera è avere un ufficio “separato” od, almeno, un gabbiotto per creare una barriera a volte solo retorica tra un responsabile ed i suoi “collaboratori”). 

Ebbene, il mio saluto “buongiorno a tutti, esseri umani e non!” quindi la provocazione intellettuale ha avuto l’effetto immediato di un sasso nello stagno: proteste verbali, fischi, quasi il lancio di oggetti verso il sottoscritto.
Quando la canea si è calmata qualcuno ha chiesto, saggiamente, che cosa intendessi con quel saluto criptico ed io ho domandato:

In cosa si differenzia l’uomo dall’animale?

La scienza dice che è la felice combinazione di tre caratteristiche:
  • pollice opponibile,
  • stazione eretta e
  • parola.

Ma questa è una semplice, banale considerazione da tecniciattoli (tecnici mostriciattoli), da ingegneruncoli (ingegneri omuncoli), da scienziastri (scienziati da disastri). 
Gente che (forse) è capace di capire la differensa tra corpo e mente ma non sapendo che esiste l'anima ed, all'interno di essa, lo spirito.
Gente che è capace solo gestire la bruta materia, le informazioni, i bit, non la parte più preziosa del nostro essere, lo spirito (appunto). E che tratta le altre persone come se fossero numeri, senza riguardo alcuno per quella briciola di Dio che è in tutti noi.

La mia perplessità è: che ne facciamo di questi doni "del cielo"?

Forse sfruttiamo la possibilità di alzare il capo per contemplare l’infinito?



Magari usiamo le nostre mani per aiutare a rialzarsi chi è caduto?



Almeno consoliamo con le nostra buone parole il cuore di chi è afflitto, disperato, irato?


Ecco una prospettiva di sforzo etico: infatti, quando andiamo in chiesa, chiediamo perdono per i nostri cattivi pensieri, parole ed omissioni. E quest’ultimo peccato è quello che meno consideriamo di aver commesso.
Ma quando andremo al cospetto di Dio e Lui ci chiederà: “Cosa hai fatto?” se noi risponderemo: “Niente!” Lui giustamente ci spedirà all’inferno… o, perlomeno, al purgatorio!


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